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Storie di donne

«…una mano caratteristica del territorio salernitano, famoso per Vietri, si fa riconoscere per un assolo ceramico: è Ernestine. Le sue forme e i colori muovono da evocazioni Liberty e si liberano in movimenti e tinta vivaci»

Cava de' Tirreni, Salerno, Italia

Storica dell'arte

Napoli

Maria Grazia Gargiulo

«…una mano caratteristica del territorio salernitano, famoso per Vietri, si fa riconoscere per un assolo ceramico: è Ernestine. Le sue forme e i colori muovono da evocazioni Liberty e si liberano in movimenti e tinta vivaci».

A tale figura di ceramista/designer, è stato dedicato  un focus, organizzato nell’ambito del Festival Internazionale di Matres, importante momento di valorizzazione ed esposizione dei lavori delle donne in ambito artistico.

Sono i fiori, ad essere disegnati come segni infiniti di un mondo dove la natura è donna: fiori grazie ai quali Ernestine rappresenta un’isola ceramica felice, capace di coinvolgere chi semplicemente guarda i suoi “oggetti”. Erano passati pochi anni dalla seconda guerra mondiale tutto era grigio, dove le paure avevano azzerato gli uomini e le cose e il riferimento alla cronaca restava un’ulteriore testimonianza dei drammi vissuti. Allora ri-cominciare proprio dalla natura apparve la via d’uscita da imboccare. 

Ernestine Cannon disegna e gioca con i decori, realizza una serie di oggetti per gli ambienti domestici che hanno una forza nuova piena di luce, un’energia donata dalla natura, madre generatrice capace in tutte le sue forme di muovere il mondo. La sua casa diviene lo spazio dell’arte, principale fonte d’ispirazione. Nei pochissimi scatti che ci raccontano di lei, la ricordiamo nella sua abitazione di Ravello, nel suo amato giardino. Fotografata alla sua scrivania, con composizioni floreali di nature morte-vive, la vediamo mentre disegna davanti a un grande vaso di fiori.

Era un’appassionata di floricoltura, la cui arte riversava nella cura del giardino, e il suo circondarsi di bellezza faceva di lei una donna sensibile e creativa. Le opere di Ernestine testimoniano la necessità di un racconto. L’avventurosa vicenda della sua carriera di designer-ceramista, esaltante e privilegiata, le permette di dar vita ad un mondo fatto di fiori, realizzando, gelsomini, felci, margherite, foglie, anemoni, viole e tantissime tipologie di foglie.

Da madre di una natura che ha il sapore di botanica, di studio e di osservazione, Ernestine lavora a disegni preparatori all’acquerello, da trasportare poi sulla ceramica. Le sue opere selezionate per questo piccolo omaggio alla ceramista si vedono varietà di viole, foglie sparpagliate, fiori incantevoli, ingrandimenti di boccioli, con un decoro così riconoscibile tale da rappresentare la sua firma.

La scoperta della natura, soprattutto lo studio dei fiori: furono la sua fortuna il capitale da cui ripartire senza dimenticarsi de L’importanza di chiamarsi Ernestine.

L’americana Ernestine Virden Cannon (1904-1969) arrivata in Italia a metà degli anni Quaranta scelse di stabilirsi a Salerno. L’architetto Gio Ponti la definì dalle pagine della rivista Domus “la donna ceramista più lunga che esiste al mondo”. Ed è grazie a lei e all’architetto Matteo D’ Agostino che ha inizio l’avventura artistica della produzione industriale della ceramica Ernestine alla fine degli anni Quaranta, un sogno che durerà fino al 1968.

Disegno, forma e decoro sono le cifre stilistiche dei due protagonisti: Ernestine Cannon e Matteo D’ Agostino. La prima con la tecnica dell’acquerello dà vita ad una serie di motivi decorativi floreali fortemente moderni, il secondo, erede di una famiglia di produttori di ceramiche a Salerno, è un creatore di forme nuove e progetti d’interno modernisti. Insieme rinnovano la tradizione ceramica vietrese e conquistano i mercati stranieri, soprattutto quello americano, diventando già negli anni Cinquanta una delle fabbriche di punta del design industriale in Italia; preziosa è la collaborazione di un giovane ingegnere ceramico tedesco, Horst Simonis, che rappresenta il “terzo” punto di forza. Grazie a Simonis la fabbrica diventa un vero e proprio centro di ricerca e sperimentazione sui colori e sugli smalti.

Nascono i famosi “Rosso Selenio” e “Blu cobalto” che colorano i tanti complementi d’arredo pensati per la casa, disegnati dalla Cannon e plasmati dalla forza di D’ Agostino; che ancora oggi sono oggetto di culto da parte del collezionismo internazionale.

ERNESTINE

curtesy@ Collezione Francesca Salemme 

Ringrazio Francesca Salemme per il suo racconto

AGOSTO 2022

Quando ero bambina, a casa mia si mangiava in piatti floreali dai colori sgargianti. Erano i piatti di Ernestine. Tutt’ora uno dei servizi più usati sulla tavola di mia madre, nei pranzi e nelle cene estive, è quello col decoro Amaryllis, sopravvissuto all’uso e ai traslochi pressoché intatto. Di un altro, invece – piatto piano monocolore turchese, piatti fondo e da dolce con una ghirlanda di frutti – è rimasta solo la formaggiera, ad imperitura memoria di quello che fu. Nella mia memoria, invece, resta il ricordo, nitido anche se ero piccolissima, delle volte in cui mia madre mi portava con sé in un posto – che poi ho scoperto essere una fabbrica ceramica, la fabbrica dell’Ernestine in via Irno – a scegliere vasi, piatti, forme da comprare per sé o regalare alle amiche. Come premio per la pazienza e la compostezza (non ricordo di avere mai rotto nulla in quella sede) ricevevo uno dei salvadanai di ceramica, a forma di gatto o di elefantino (anche se mi piacevano moltissimo anche i posacenere a forma di balena).È stato in virtù di quel ricordo infantile che, ad un certo punto, complice un tè – servito in una tazza bianca col decoro di un crisantemo dal profilo nero e col manico intrecciato – che ho cominciato a raccogliere prima e a collezionare poi le ceramiche di quella che ho scoperto essere la più famosa fabbrica salernitana del secondo dopoguerra, nata dal sodalizio tra l’americana Ernestine Virden Cannon (1904–1969), la donna venuta dal nulla e Matteo D’Agostino (1905-1968). Mentre raccoglievo piatti e forme, gatti e decori (cerco disperatamente da anni una pietra lunare grande, ma questa è un’altra storia) mi sono appassionata alla loro vicenda privata (appassionata e tormentata) ed imprenditoriale (appassionante d’esemplare), una storia che potrebbe tranquillamente essere la trama di un film: non molti sanno che uno dei decori è dedicato ed ispirato al loro amore tormentato e riunisce le lacrime di lei ed il cuore spezzato di entrambi… La Signora del Nord arrivata in maniera avventurosa a Salerno durante il secondo conflitto mondiale, nell’Italia ancora spezzata in due tra occupazione tedesca ed avanzata alleata, dette una svolta alle ceramiche d’arte dell’area salernitana, emancipandole da Vietri e proiettandole in un mercato mondiale. Ernestine colse la spinta felice dovuta alla fine del conflitto, lo spirito nuovo della ricostruzione, l’uscita dalla catastrofe, il futuro speranzoso e luminoso del moderno, trasferendo quello spirito nei decori luminosi e nelle forme moderne, comunque legate all’immaginario del luogo: lei curò i primi, floreali, colorati, leggiadri, essenziali; Matteo le seconde, sinuose, morbide, sorprendenti.

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