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Face

Fiorenza Pancino Andrea Kotliarsky Cristina D'Alberto Elvira Keller

Director of Villa Lattes Museum in Istrana

Vicenza Italy

ELENA AGOSTI

FACE LITERALLY MEANS FACE, COUNTENANCE, BUT ALSO THE ABILITY TO KNOW HOW TO LOOK AND HOW TO DIALOGUE WITH THOSE IN FRONT OF US.

Parlando di ceramica, di arte e di donne, non possiamo non citare l’amicizia che lega queste quattro ceramiste, più o meno faentine, ed il loro progetto FACE, tutt’ora attuale, presentato nell’ultima edizione di Argillà Italia.
FACE è l’acronimo di Fiorenza, Andrea, Cristina ed Elvira: quattro artiste che hanno lavorato assieme per la realizzazione di una grande opera unica, formata da tanti piccoli tasselli circolari, ognuno unico e diverso dall’altro, anche se tutti riconducibili ad una serie limitata ed iconica.
FACE letteralmente significa faccia, volto, ma anche  capacità di saper guardare e di saper dialogare con chi ci sta davanti. Tradotto dal latino fax facis, fiaccola, si intende un mezzo che può illuminare, e che ci aiuta a vedere anche laddove i significati sono più profondi ed impenetrabili.
Ogni singola artista ha lavorato nel proprio laboratorio, seguendo il proprio stile ed utilizzando il materiale a lei più consono, mettendo una piccola parte di sé in ogni tassello. Tutti questi, uniti tra loro, creano un drappo, una sorta di grande coperta, un macro-tema che ci accompagna in tutti gli stadi della vita: dalla nascita alla morte; essa ci protegge e ci riscalda durante i momenti di riposo e durante la notte, quando la luce lascia il posto al buio ed il nostro corpo e la nostra mente si rigenerano grazie al sonno.
Il richiamo letterario è la figura allegorica del talamo Omerico, luogo principe dell’amore e delle passioni, luogo dell’incontro e della condivisione, luogo in cui si genera la vita e dove spesso la stessa trova la sua fine. Per Linus è quell’oggetto che sa trasmettere un senso di calore e di pace, una comfort- zone transizionale; “la coperta di Linus” è oramai un detto proverbiale per indicare qualcosa che dà sicurezza e di cui non ci si può assolutamente privare, un simbolo dell’infanzia perduta, una protezione magica ed apotropaica. La coperta ci culla nel sonno e ci fa compagnia mentre sogniamo, ed è proprio nel mondo onirico che ritroviamo il grande legame tra simbolismo ed inconscio.
Guardando per la prima volta quest’opera difatti veniamo coinvolti a livello emozionale, ci sembra di sentire il profumo del bucato, delle lenzuola stese al sole; un ricordo intimo dell’infanzia che ci fa pensare alle nostre nonne e alle giornate assolate, al profumo di Marsiglia. Avvicinandoci però prendiamo consapevolezza del materiale di cui essa è composta: la ceramica, che non è per nulla soffice e leggera! Difatti l’opera consolida la sensazione di un avvolgimento, di un abbraccio, di un conforto; e, superata la prima percezione e letto quello che le artiste hanno racchiuso nei loro singoli tasselli, ci rendiamo conto di come questa trapunta indaghi  la soggettività delle relazioni  e la spersonalizzazione della società.
Fiorenza Pancino nei suoi micromondi ha scritto dei numeri ricordandoci di come, nei fenomeni di massa o negli eventi tragici, tutto si riduce a delle serie numeriche. Forse è solo un nostro tentativo di dare un ordine al caos, un procedimento per poter studiare la realtà con oggettività e distacco, per trovare algebricamente una formula che possa definire una situazione. Fiorenza con la sua ironia contraddice questo approccio sterile: in un disegno più ampio quale è la coperta, questi elementi numerici acquisiscono un significato altro, si fondono e si mescolano come un ricamo con i tasselli delle altre artiste creando un ritmo visivo diverso dal semplice valore numerico che ad essi è normalmente attribuito.
Andrea Kotliarsky ha invece forgiato dei gettoni sfruttando la rotondità del singolo modulo. Ebbene sì, proprio quelle monete che usavamo nelle cabine telefoniche prima delle tessere, anche se ormai oggi li utilizziamo solamente nei videogiochi e nelle slot machine ed anche la cabina telefonica è un ricordo lontano. Il gettone, per sua natura, può essere usato una sola volta, un po’ come la nostra vita. Emblematico infatti che nei videogiochi quando finisce il gioco e compare la scritta “game over”. Ognuno di noi ha a disposizione un solo gettone, e deve saperlo  giocare al meglio! Un tempo il gettone sanciva la durata di una telefonata, il tempo e l’intensità di un dialogo. Nelle slot machine può essere fonte di una grande ricchezza, se si è fortunati. Ogni gettone è una vita da giocare, una coperta di gettoni è un intreccio di vite.
Cristina D’Alberto nei suoi tasselli penetra, attraverso lo sguardo, nella sfera più intima delle persone, con il racconto dipinge alcune emozioni e frammenti della loro vita; le storie si intrecciano come la  trama e l’ordito di una coperta. In ogni occhio c’è una individuale visione della storia delle persone che ritrae, che è scritta e disegnata grazie all’emozione generata dall’incontro, e che conduce l’opera in una realtà parallela paragonabile ad un sogno, senza linearità cronologica, dove i sentimenti si dilatano e deformano il tempo e la realtà. Un dipanarsi di emozioni che si intrecciano con gli sguardi di chi osserva l’opera, in un continuo rinnovarsi del dialogo. Il significato di uno sguardo diventa eterno.
Elvira Keller ha focalizzato la sua attenzione sul macro- tema della coperta come protezione: coperta di nascita e coperta di morte. Due momenti della vita che ci riportano al tema dell’identità: veniamo al mondo e ci viene dato un nome, e, conseguentemente, un codice fiscale; morendo lasciamo una traccia della nostra identità terrena. Le impronte dentali sono la nostra unica vera chiave di riconoscibilità, anche dopo la morte, essendo l’unica parte del corpo che persiste anche dopo di noi, molto più efficienti ed efficaci quindi delle impronte digitali, di cui, con il passare del tempo, perdiamo ogni traccia. Le sue tessere indagano l’identità attraverso ciò che ci rende unici e diversi, al contempo riconoscibili e catalogabili, ognuno di noi è una piccola parte del sistema, come ogni tassello è un elemento della coperta.
Tutti questi moduli sono stati pazientemente cuciti dalle quattro artiste su una struttura a telaio, un grande patchwork ad otto mani dove si intrecciano e si mescolano tra di loro gli elementi rappresentati; nell’alternarsi creano un ritmo visivo di rifrazione della luce tra superfici lucide e matte, una profondità di movimento tra superfici decorate ed incise. Al centro un riquadro per ogni artista, un 7×7 in cui possiamo riconoscere il loro messaggio individuale, perché in ogni lavoro di gruppo il fulcro rimane sempre l’individualità di chi lo compone. 
L’opera è stata esposta ad  Argillà Italia 2018 a Faenza presso lo Studio Calychantus in Corso Mazzini e alla Festa della Ceramica di Nove Portoni Aperti presso la Manifattura Barettoni già Antonibon a cura di Elena Agosti, allestimento di Oscar Dominguez con il patrocinio di Ente Ceramica Faenza.

IMAGES

FACE: Fiorenza, Andrea, Cristina, Elvira

Installation at Barettoni Ceramics in Nove 2018 Photogroup Nove Chemello.

Installazione ad Argillà Faenza, settembre 2018 Foto Elena Agosti

FACE, the symbols

Fiorenza Pancino www.fpancino.it Andrea Kotliarsky www.andreakotliarsky.com Cristina D'Alberto www.cristinadalberto.it Elvira Keller www.kellerelvira.com

Processing stages Photos by Anthony Girardi

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